Si invitano i lettori casuali di questo blog a seguire questo commento possibilmente avendo a fianco il bellissimo libro "Le avventure di PINOCCIO illustrato con 309 xilografie di Sigfrido Bartolini" (prima edizione del 1983 a cura della Fondazione Nazionale C. Collodi, poi con altre ristampe). Ciò non è indispensabile, ma certamente - almeno per la prima parte - aiuta a comprendere la magnificenza di questa "recente" opera, che però è entrata a far parte di diritto delle grandi edizioni.
Inizio questa pagina riportando dal commento a questo libro "Dal legno di Geppetto ai legni di Sigfrido Barolini" edito nel 1998 da Maria Pacini Fazi Editore, quanto scrive proprio il nostro grande Autore.
LE ILLUSTRAZIONI
realtà ironia simboli
Per chi, come l'autore, non sia un illustratore di professione ma affronti questo impegno a condizione che il testo da illustrare sia in qualche modo compatibile con il prorio mondo espressivo, il Pinocchio di Carlo Lorenzini ha tutte le carte in regola per esser preso in considerazione. Da comun denominatore tra il testo e l'illustratore, in questo caso agisce ovviamente la Toscana: dalla lingua concisa e fluente, al carattere dei personaggi; dalle situazioni, spesso drammatiche ma risolte con sottile ironia, all'ambiente: quel paesaggio che lo scrittore non descrive mai e che pure fa da costante, intuibile fondale.
Inoltre il Pinocchio riletto da adulti aggiunge, al sapore di favola fermo nel ricordo, un ampio ventaglio di significati riconducibili a più chiavi di lettura in grado di far sì che la fiaba realissima possa implicare, sia pure non pensati dall'autore, riferimenti simbolici, magici, trascendenti. Si veda in proposito l'ottimo saggio del Cardinale Giacomo Biffi: Contro Maestro Ciliegia - Commento teologico a "Le avventure di Pinocchio".
Un testo di tale letteraria sobrietà, tutta toscana, portava spontaneamente a individuare nell'antica, ascetica xilografia la tecnica ideale per queste illustrazioni: la storia del burattino ricavato da un tronco d'albero, illustrata incidendo tavolette di legno.
I legni per la xilografia si scelgono a seconda del risultato che si vuole ottenere: il bosso, duro e compatto come l'avorio, per minuzie e raffinatezze; i frutti (melo, ciliegio, pero) per le più svariate evenienze; eppoi legni esotici dalla fibra compatta e fragile come il vetro, o dalle venature porose che possono collaborare offrendo il loro tracciato (quello che il pittore De Pisis chiedeva alla tela, lasciata appositamente scoperta tra una pennellata e l'altra), per movimentare un fondo o suggerire una particolare atmosfera, vedi le tavv. 130-131.
Nel 1968, da un contadino di Carmignano, sulle colline tra Firenze e Pistoia, vennero acquistati alcuni tronchi di ciliegio da poco abbattuti, segati a tavolette restarono a stagionare all'aperto per due anni, la maggior parte delle xilografie del Pinocchio sono state incise su questo legno.
Il Pinocchio è composto da trentasei capitoli, il che, volendo seguire un preciso progetto impaginativo, portava ad incidere trentasei motivi che sottolineassero sinteticamente ogni sommario e, con la stessa funzione, altrettanti per i capolettera. Trentasei avrebbero quindi dovuto essere anche le tavole a colori, fuori testo, da porsi a conclusione di ogni capitolo. Così, prima di arrivare alle illustrazioni del testo, i legni ammontavano, con il fregio del frontespizio, a centonove, anzi, con i settantadue linoli usati per i colori si andava ben oltre. Per le tavole fuori testo vennero scelti solo tre colori: oltre al nero, una terra verde e una terra rossa, prendendo a riferimento gli affreschi di Paolo Uccello già nel Chiostro Verde di Santa Maria Novella a Firenze; pochi toni di colore, così ben armonizzati, sembrano particolarmente intonati alla stringatezza stilistica del testo.
Per ognuno dei trentasei capitoli era necessario iniziare da una pagina di numero dispari, che troviamo a destra aprendo un libro, e finire in altra di numero pari, quella che sta a sinistra. I capitoli del racconto sono di diversa lunghezza, in questa impaginazione ne sono risultati venti di 8 pagg., otto di 10, sei di 12, uno di 14 e uno di 18, l'ultimo. Avendo previsto in ogni pagina almeno un'incisione, era necessario manovrare con le misure e la quantità dei legni affinché lo scritto scorresse o si contraesse per concludersi in una pagina di numero pari a chiusura del capitolo. Un esempio eclatante di questa necessità è il brevissimo capitolo VI, nel quale la pagina numero 64 ha una figura in grado di coprire quasi tutta la superficie per costringere lo scritto a scivolare nella 65 e concludersi alla pagina pari, la numero 66, sia pure con poche righe.
Non era nell'intenzione illustrare gli avvenimenti dei vari capitoli ma, come poi è stato rilevato, affiancare al testo un racconto parallelo d'immagini che, salvo rare, necessarie eccezioni, pur senza narrare specificatamente i fatti li suggerissero. Del mondo collodiano occorreva riproporre il sapore attraverso i luoghi, gli oggetti, gli animali e poche figure essenziali; inoltre, ogni incisione avrebbe dovuto possedere validità artistica a sé stante, come si trattasse di un paesaggio, una natura morta, un ritratto, o che altro, legati comunque al testo.
Per dare un affato di verità, sia pure fantastica, nulla avrebbe dovuto essere scelto a caso: un luogo o un oggetto, quando possibile, dovevano anche richiamare , oltre al proprio significato, altre valenze che ne aumentassero il fascino e il sapore di simbolo. Tanto per fare un esempio, i nomi sulle bottigliette dei medicinali che la Fata fa prendere a Pinocchio, Athelas, Lembas e Galatilion, sono i cibi magici degli elfi ne Il Signore degli anelli dello scrittore inglese J.R.R. Tolkien, pag. 159. Un personaggio, un animale, una casa, un cipresso, la Quercia grande o un qualsiasi oggetto, tutto andava rigorosamente cercato, scelto e risolto in modo che si adattasse allo spirito del racconto.
Ma andiamo per ordine ripartendo
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